Stoner senza filtri: “Questa MotoGP è un campionato europeo”

Stoner senza filtri: “Questa MotoGP è un campionato europeo”
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Non lo si può definire mondiale, si corre in un solo continente, e senza Márquez è nel caos. Valentino? Vederlo felice per un podio a Casey mette tristezza, prima era un killer che faceva di tutto per vincere le gare. Ducati deve cambiare mentalità. E fu il clan di Marc Marquez a farlo fuori in Honda
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21 ottobre 2020

Casey Stoner ha lasciato la MotoGP da quasi dieci anni ormai, eppure resta un personaggio indimenticabile per tutti gli amanti del motociclismo.

L’australiano viene intervistato spesso perché ha una buona dose di autorità ed è sempre schietto. Ad Antonio Russo, dell’edizione svizzera di Motorsport.com, Casey ha raccontato alcuni pepati retroscena della sua carriera. E ha espresso il suo punto di vista sulla MotoGP di oggi.

"Non credo – ha dichiarato Stoner - che questo possa essere definito un campionato mondiale. Questo è un campionato europeo molto ristretto, con più gare sullo stesso tracciato: si corre due volte su determinati circuiti adatti a determinate moto, permettendo così di ottenere due buoni risultati in due weekend consecutivi. E poi senza Marc Márquez pare che ci sia molto caos, e i piloti stanno davvero facendo fatica ad essere costanti. Sinora è stata una stagione davvero molto strana da guardare".

Casey aggiunge che la segue comunque e non tifa un pilota in particolare, alcuni non li conosce nemmeno, perché sono arrivati dopo il suo ritiro. E non vede chi possa battere Marc Márquez.

“L’unica persona che può battere Marc è Marc stesso: quest’anno purtroppo alla prima gara è stato battuto da sé stesso, e il campionato è nel caos, non c’è stata costanza da parte di nessun pilota. Sarà interessante vedere quando lui tornerà e tutto si normalizzerà un poco”.

Casey esclude un suo rientro, ha lasciato il motociclismo perché ha perso la passione quando ha dovuto lottare con i problemi di salute: in quell’occasione ha avuto modo di conoscere veramente alcune persone e allora, deluso, ha deciso di godersi la vita e la famiglia.
Poi indica Pedrosa e Lorenzo come gli avversari più duri affrontati in carriera. Non Valentino. Cosa pensa della longevità di Rossi e delle sue scelte a 42 anni?

"Credo che dipenda completamente da Valentino: se si sta godendo ancora lo sport e ha ancora un po’ di velocità, allora è fantastico. Per me, quando correvo contro Valentino, lui era un vincente, un killer, faceva di tutto per vincere le gare. Ora, invece, una posizione nei primi cinque o un podio sono per lui come una vittoria, e questo per me è triste".

Poi si passa alla Ducati: perché, gli viene chiesto, dopo il suo titolo del 2007 in Ducati non ha più saputo ripetersi?

"Purtroppo quando ero lì non avevamo il budget che certamente hanno oggi. Si cominciava il campionato con una moto e lo si finiva con quella, oltre all’elettronica non c’erano aggiornamenti. Era molto difficile, perché gli altri andavano avanti e noi no. Penso che oggi alcune decisioni prese in alto in Ducati debbano cambiare, o aggiustarsi. Chiaramente un motore potente non ti fa vincere i campionati, basta guardare la Yamaha, che ha ottenuto tanti successi pur avendo una delle moto meno potenti, forse la meno potente sulla griglia. Ritengo che la Ducati abbia davvero bisogno di fare un passo indietro e dare un’occhiata ai fondamentali; ci sono molte più curve che rettilinei in un circuito, quindi puoi guadagnare molto di più nelle curve".

Se si parla di Ducati, è molto interessante ascoltare Stoner sul suo modo di guidare. La ricetta sembra semplice, ma semplice non è.

"Fondamentalmente, io guido più con la pancia piuttosto che con la testa. Molti piloti hanno bisogno di girare a lungo per trovare la confidenza, mentre io so come andar forte senza raggiungere il limite, ma andandoci molto vicino e senza difficoltà; poi lavoro su me stesso per fare quell’ultimo step, adattandomi alla moto o alle condizioni".

Il due volte campione del mondo torna sui fatti che lo allontanarono da Ducati: non gli piacque come lo trattarono, ricorda che offrirono ad uno dei suoi più grandi avversari quasi il doppio del suo compenso.

“Hanno detto tante cose negative su di me alla stampa, e considerando che ero il loro unico campione del mondo e avevo vinto più gare di tutti gli altri i loro piloti messi insieme, questo mi ha fatto molto male”.

Passare alla Honda fu naturale: era il marchio per il quale aveva corso il connazionale Mick Doohan, quel team aveva sempre avuto un grande fascino per lui, e così colse al volo l’opportunità del 2011. Ma è vero che poi fu Márquez a non volerlo come collaudatore alla Honda?

"Non conosco - ha risposto Casey - il motivo esatto che spinse la Honda ad escludermi. Non so se credessero che stavo progettando di tornare e diventare una minaccia per Marc, ma lui e il suo management/team mi hanno messo fuori. Quello che so per certo è che i vertici Honda non volevano che me ne andassi, ma io sentivo di non essere in grado di fare la differenza come collaudatore, perché nel team respingevano le mie idee e la direzione dello sviluppo. E’ stato deludente, perché ero lì per aiutare Marc e credo che avrei potuto aiutarlo davvero molto. Qualcuno per qualche motivo non mi voleva più lì, e lo ha reso molto chiaro".