Andrea Antonelli, un amico

Andrea Antonelli, un amico
Carlo Baldi
Ho pensato molto se scrivere o no queste righe e poi ho deciso di farlo per due motivi. Il primo è che certamente ad Andrea avrebbe fatto piacere... | C. Baldi, Mosca
21 luglio 2013

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Ho pensato molto se scrivere o no queste righe e poi ho deciso di farlo per due motivi. Il primo è che certamente ad Andrea avrebbe fatto piacere ed il secondo è che i nostri lettori devono sapere perché questa volta non avranno modo di leggere le pagelle o qualcun altro dei miei articoli sulla Superbike.

Andrea Antonelli era un mio amico e questo basterebbe già per comprendere cosa abbia voluto dire per me la sua scomparsa. Come tutti gli amici avevamo vissuto molti momenti insieme, piacevoli e meno piacevoli. Ricordi che ora affiorano uno ad uno, facendo crescere il mio dolore. Non scriverò come fanno tutti che era un bravo ragazzo o un bravo pilota, perché mi sembra scontato e perché Andrea merita di più. Lui era una persona solare perché era felice. Felice perché faceva il pilota di moto ed aveva una famiglia stupenda, che gli voleva bene, lo assecondava nella sua passione e lo seguiva sulle piste. Poche volte l’ho visto arrabbiato, anche se a volte i risultati non erano quelli sperati o le cose non erano andate come lui voleva. Sorrideva sempre. Non potrò mai dimenticare la sua voce che mi chiama : “Carletto!” Lui che aveva trenta anni meno di me, mi chiamava Carletto e mi piace pensare che lo facesse in tono affettuoso.

Ci eravamo conosciuti nel 2008 quando io facevo da ufficio stampa per il team Althea, lo stesso team per il quale lui correva nella Superstock 1000 FIM Cup. Ad inizio stagione Tommy Hill si infortunò gravemente nei test di invernali e allora Andrea venne promosso in Supersport, anche se solo per le prime due gare del mondiale, in Qatar ed in Australia. Non fu fortunato. In Qatar cadde alla prima curva e lo stesso fece in Australia. Me lo ricordo perché pensai che fare il giro del mondo per non fare poi nemmeno un giro di pista fosse una cosa davvero poco piacevole, per non dire di peggio. Ma lui non se la prese più di tanto. Con lui c’era suo padre Arnaldo. Come tutti i papà Arnaldo è affettuoso, ma anche un poco palloso (io sono anche peggio di lui) e Andrea ogni tanto sbuffava, però andavano d’amore e d’accordo. Erano sempre insieme, non c’era una gara dove Arnaldo non accompagnasse suo figlio, magari mettendosi alla guida del loro camper, per non far stancare Andrea. Arnaldo ha sempre aiutato suo figlio a correre. Era lui che parlava con i team, che cercava gli sponsor e che a volte ci metteva dei soldi di tasca sua, pur di farlo correre. Perché sapeva che per Andrea le corse erano la passione, la sua vita.

Ieri sera come capitava spesso, Andrea era passato in sala stampa a prendere i tempi e si era seduto vicino a me per commentarli. Abbiamo parlato per un'oretta e assieme abbiamo ripercorso alcuni avvenimenti passati. “Dopo la Russia andremo a Silverstone – gli dissi – ed ancora una volta festeggerò il mio compleanno in Inghilterra”. E ricordammo quando, anni fa, cenammo nella stessa hospitality e lui, con i ragazzi del suo team, mi fece trovare una mini torta con un’unica candelina. Ieri sera era sereno, come sempre. “Seconda fila” – commentò – se non piove posso dire la mia”. Purtroppo invece è piovuto e Andrea è andato incontro al suo destino. Come spesso accade questi incidenti sono una serie incredibile di concatenazioni. Roccoli che ha problemi al motore, Antonelli che cade e Zanetti che non vede all’interno della nuvola d’acqua che si trova davanti e lo investe. Tre italiani, tre amici. Il destino.

Non ho ancora incontrato il padre di Andrea ed ho paura al pensiero di incrociare il suo sguardo. So quanto stia soffrendo e so di non poter alleviare in nessun modo il suo dolore o quello di sua moglie, che con il fratello minore di Andrea hanno vissuto la tragedia da casa.  Show must go on….. Si, ma questa volta faccio molta fatica a pensare di tornare a seguire altre gare. Tutto sembra aver davvero poco senso di fronte a queste cose. Mi sforzerò di pensare che se n’è andato facendo quello che lui amava fare e che per anni ha coronato il suo sogno : correre in moto. Ma questo non mi aiuterà ad avvertire di meno la sua mancanza.