Addio a Mariano Fioravanzo, leggenda del motociclismo e papà di tante moto Aprilia di successo

Fioravanzo è stato un grande personaggio, follemente innamorato delle motociclette e con una preparazione, serietà e dedizione esemplari, condite da buon senso e umorismo. Ci ha lasciato a 73 anni. Lo vogliamo ricordare con questa intervista che ci concesse 10 anni fa e in un video di Masterpilot di qualche mese fa
18 luglio 2013

Se n'è andato ieri, a 73 anni. Sviluppò moto quali Rsv Mille, Tuono e Rsv 4 ed è stato tra i tecnici del comparto due ruote che hanno maggiormente lasciato il segno negli ultimi decenni, una posizione di rilievo la merita sicuramente Mariano Fioravanzo, basti dire che ha progettato tanto la RSV due cilindri, che la RSV4.

Queste due moto sono però solo le perle di una carriera svoltasi interamente tra Laverda ed Aprilia; Fioravanzo (che ha sempre risieduto a Breganze) non ha abbandonato le due ruote, essendo diventato consulente della Ohvale, dove vengono prodotte delle interessanti minimoto, delle quali abbiamo già parlato (leggi l'articolo) e che presto saranno commercializzate. Oltretutto attorno al progetto Ohvale si è ricomposta l’esplosiva coppia Fioravanzo-Pellizzon (leggi l'intervista), essendovi coinvolto anche “Caio”, il mitico ex collaudatore di tutte le Aprilia.

Forse meno conosciuto al pubblico motociclistico di altri colleghi a causa del suo carattere riservato, Fioravanzo (che nel 2008 ha giustamente ottenuto l’onorificenza di Maestro del Lavoro) è un grande personaggio, follemente innamorato delle motociclette e con una preparazione, serietà e dedizione esemplari, condite da buon senso e umorismo.

Lo vogliamo ricordare con questa intervista che ci ha concesso nel luglio del 2013 e con un un video che Emiliano Perucca Orfei ha realizzato con lui lo scorso gennaio.

Mariano, ripercorriamo la tua carriera: raccontaci un po’ di Laverda, dove hai lavorato dal ’71 all ’86, un marchio celebre ma repentinamente svanito.
«Io iniziai nel reparto progettazione sui modelli SF e SFC 750 e poi sulla 1000 a tre cilindri. Ricordiamo che Laverda fu tra le prime casa al mondo ad introdurre le maximoto, i giapponesi ci dovettero seguire con le varie 750 Four e Z900. Facevamo ottimi mezzi, che sapevano imporsi anche nelle competizioni Endurance. Purtroppo mancò il ricambio nella gamma prodotti, i progetti del 6 cilindri a V e di un 4 in linea cui lavoravano ingegneri come Alfieri, ex Maserati, e Bocchi, ex MV, furono rallentati per una serie di problemi, tra cui la salute di Massimo Laverda, e in pratica ci trovammo ad un certo punto con una gamma obsoleta».

Nel 1986 passasti in Aprilia; quale fu il tuo primo impegno?
«Il mio primo progetto completo fu la BMW F650, che veniva realizzata da Aprilia per la casa tedesca. Contrariamente a quanto si pensa, non era assolutamente un Pegaso ricarrozzato, in quanto vantava moltissime diversità tecniche, a cominciare dal propulsore a 4 valvole in luogo di 5 ed il telaio monolitico in acciaio anziché componibile. Si trattò di un grande impegno sia tecnico che organizzativo ma anche di una grande soddisfazione, in quanto in BMW furono estremamente soddisfatti sia del prodotto che della sua qualità costruttiva».

A quel punto ti fu assegnato il progetto RSV2; come lo ricordi?
«Era un compito molto delicato perché segnava l’ingresso di Aprilia nel mondo delle maximoto, e di conseguenza fu molto impegnativo e qualche volta travagliato, con più di un ripensamento durante i tre anni di sviluppo. Per il motore, dopo avere analizzato schemi diversi ,decidemmo l’architettura V60, che risultava la più adatta per realizzare una ottima ciclistica; a tale riguardo mi spiace quando si parla di motore Rotax, perché le specifiche e le scelte strategiche ad esso relative, oltre ai collaudi ed il benestare, furono eseguiti da noi; la casa austriaca ci mise la sua consulenza e il know- how produttivo ma il propulsore era a tutti gli effetti un motore Aprilia».

Fissato il propulsore, si trattava di fare una ciclistica adeguata…
«Come previsto, il V60 ci permise di fare un telaio molto efficace, ci furono invece molti dubbi sul posizionamento della moto.Prendemmo come riferimento la Honda CBR 900, una supersportiva non estrema, e da qui le forme abbondanti con cui debuttammo (c’erano perfino i ganci portapacchi); nel frattempo però stava cambiando lo scenario, il pubblico e il mercato si orientavano verso nuove 1000 molto compatte, ad esempio la Ducati 916 e la nuova R1 e questo ci spiazzò, difatti tutti i successivi sviluppi della RSV andarono nel senso di renderla più aggressiva».

Mariano Fioravano a Valencia nel 2011
Mariano Fioravano a Valencia nel 2011


Che giudizio complessivo dai della RSV?
«Credo sia stata una ottima moto, per lungo tempo la migliore supersportiva del mercato, e difatti forse la mia più grande soddisfazione professionale fu vederla vincere il Masterbike nel 2006 contro le 4 cilindri. La ciclistica era riconosciuta da tutti essere al top, ed inoltre la cura e l’attenzione con cui fu progettata la resero estremamente affidabile. Sono orgoglioso anche del suo sviluppo lungo gli anni: di fatto, ferma restando l’architettura di base, la moto e il motore cambiarono completamente».

Un suo limite è probabilmente stata la potenza non elevatissima, concordi?
«Sì, il pubblico delle moto sportive oltre ad una ottima ciclistica voleva motori sempre più potenti e il nostro bicilindrico non poteva essere spremuto ulteriormente; pensammo ad una evoluzione 1200cc, ma si trattava di fare modifiche molto importanti al motore, intervenendo su corsa,alesaggio,albero motore , bielle, pistoni,testa. Inoltre in quel momento il regolamento sportivo non prevedeva cilindrate superiori a 1000cc , e di fatto avevamo già in testa l’idea del 4 cilindri».

Quali sono i cardini del successo tecnico della RSV4?
«Direi che il punto cruciale fu resistere alla tentazione di fare un 4 cilindri in linea, che sarebbe stato molto più semplice. Considerammo però che difficilmente avremmo potuto realizzare in questo modo una moto migliore delle giapponesi, che avevano oltre venti anni di esperienza su questa architettura. Per cui decidemmo di fare il motore a V, anche perché, dopo i 10 anni di esperienza con il V2 ,scegliendo tale configurazione eravamo certi di poter fare una ciclistica molto efficace. Poi, non volendo ricadere nello stesso errore della 2 cilindri, stabilimmo che stavolta eravamo noi a dovere spiazzare la concorrenza con un mezzo compattissimo. Inoltre l’abbiamo sviluppata assieme al reparto corse, pensando da subito alle soluzioni che avrebbero potuto renderla competitiva in pista. I risultati sono sotto gli occhi di tutti, credo sia ancora oggi la migliore moto della sua classe».

Quale è stato il problema più grosso durante la sua realizzazione?
«Ovviamente anche in questo caso ci furono vari dubbi, ma ricordo in particolare la necessità di allungare verso l’alto in modo importante i cornetti di aspirazione dei corpi farfallati rispetto al progetto iniziale, a seguito della decisione di introdurre appunto i cornetti ad altezza variabile.Purtroppo questa scelta fu presa in una fase in cui l’estetica era già congelata e l’industrializzazione già avviata, e l’unica maniera sembrava essere alzare l’airbox, a scapito della capacità del serbatoio carburante che diventava così insufficiente. Ci passammo parecchie notti in bianco, ma alla fine trovammo il modo di recuperare il volume del serbatoio nella zona centrale dietro all’ammortizzatore posteriore , cosa che comportava una modifica estetica trascurabile. Alla fine questa soluzione permise anche un migliore posizionamento della pompa benzina. In pratica, da un grande problema nacque la possibilità di migliorare ulteriormente il progetto».

Usare moto da 200 cv per girare su strada non è certo la condizione ideale per poterne apprezzare le caratteristiche. Il loro terreno è senza dubbio la pista


Con l’ultima generazione di supersportive si è arrivati a 200 cv; ha senso oggi fare moto così potenti?
«Si è parlato a lungo di limitare per legge la potenza massima, cosa che è stata fatta solo in Francia, o di autoregolamentarsi tra case costruttrici, ma nessuno ci ha dato seguito. Io credo che l’elettronica oggi abbia comunque compensato in termini di sicurezza l’incremento delle potenze. Detto questo, è evidente che usare moto da 200 cv per girare su strada non è certo la condizione ideale per poterne apprezzare le caratteristiche. Il loro terreno è senza dubbio la pista, essendo ormai capaci di prestazioni da superbike di qualche anno fa. Gran parte degli stessi giornalisti specializzati non è in grado di spingerle al limite, servono dei piloti per sfruttarne i limiti altissimi. Oggi chi privilegia il piacere di guida su strada con comunque grandi prestazioni punta sugli enduroni, che hanno raggiunto potenze di tutto rispetto, e offrono anche confort e guidabilità».

A parte la RSV4, che moto ti ha positivamente sorpreso nell’ultimo periodo?
«La Panigale. Mi piace perché da un punto di vista ingegneristico hanno osato molto, sviluppando il bicilindrico ai massimi livelli e con delle soluzioni tecniche originali, come il “non telaio”, che gli ha dato leggerezza e possibilità di fare una estetica molto particolare. Poi in pista non si è rivelata probabilmente performante come pensavano, ma ciò non toglie che il progetto sia molto raffinato».

A questo punto un tuo giudizio sulla crisi della rossa in MotoGP; a cosa pensi sia dovuta?
«Credo abbiano vinto con Stoner per l’eccezionalità del pilota, perché il loro 800 era un motore straordinario e perché avevano maggiore esperienza di tutti con le Bridgestone. Poi si sono "persi" nonostante potessero disporre di un pilota come Rossi. Visto dall’esterno,trattandosi di professionisti sicuramente hanno provato tutte le strade praticabili per risolvere il problema,anche se bisogna dire che queste situazioni, dove lo strumento di misura è il tempo sul giro, devono essere affrontate in modo estremamente preciso e ripetitivo ed in perfetta sintonia tra piloti, collaudatori, tecnici e meccanici, dove i primi devono saper dare le indicazioni corrette, mentre i secondi implementare correttamente gli interventi tecnici. Purtroppo i risultati ottenuti sono deludenti, a questo puntonon è da escludere che ci sia qualcosa di fondamentalmente non corretto nella concezione stessa della moto».

Della S1000RR con cui BMW è entrata prepotentemente nel settore delle sportive che ne pensi?
«Il loro motore come prestazioni è il migliore della categoria. Però in una moto il propulsore è solo una componente di un equilibrio più complesso, dove la 1000RR paga ancora un po’ di inesperienza BMW nel mondo delle sportive. Questo ingresso dei tedeschi, subito dopo il lancio dellaRSV4, sicuramente non ci ha favoriti dal punto di vista commerciale».

Aprilia RSV1000
Aprilia RSV1000


Come si evolveranno le supersportive del futuro?
«La moto sportiva negli anni è sempre stata per tutte le case motociclistiche il mezzo dove introdurre le soluzioni tecniche più avanzate ed esprimere il massimo potenziale tecnologico. Anche se la loro quota di mercato è in calo, credo che le supersportive continueranno a essere sviluppate, ma ritengo non ci saranno grandi progressi nei propulsori e nella ciclistica, in considerazione del fatto che siamo ormai a livelli stratosferici e che verranno introdotte nuove norme omologative stringenti. Posso pensare giusto a qualche altra piccola soluzione derivata dalle corse a livello di propulsore e soprattutto di cambio. Ci sarà invece sicuramente un’accelerazione nell’elettronica, che oggi è ancora troppo mutuata da quella dell’auto. Penso che si svilupperanno sistemi come il “corner ABS”, che saprà valutare la frenata anche tenendo presente l’inclinazione ed il raggio di curva, ci saranno sospensioni elettroniche ed anche probabilmente degli evoluti controlli di stabilità. In generale penso ad una elettronica che nasca pensando al mezzo moto ed alle sue specificità».

Puoi farti un garage di 5 moto: quali scegli?
«La Honda CB 750 Four è sempre stata per me un mito; poi una Laverda SFC750, la Yamaha R1 del 2002, la RSV4 e una BMW GS del 2013».

Ci racconti l’aneddoto più strano della tua carriera?
«Una cosa incredibile è successa sviluppando il V2: il motore aveva fatto tutti i test al banco senza problemi, ma quando abbiamo cominciato a girare a Nardò, seguendo un ciclo specifico, si rompevano dopo circa 1000 Km le molle delle valvole di aspirazione. Questo succedeva puntualmente su tutti i prototipi e non riuscivamo assolutamente a spiegarcelo, anche perché ricontrollando il progetto e i calcoli della molla questi risultavano corretti . Ci abbiamo messo settimane per capire che in pista con il ciclo di prova previsto si creava una risonanza della molla causata da una armonica oltre il decimo ordine che ne comprometteva l’affidabilità, una cosa che non avevo mai visto prima».

Claudio Pavanello

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