Libero Borsari, un talento spento dal caso

Libero Borsari, un talento spento dal caso
La storia di un ragazzo emiliano molto amato e diventato un pilota della 500 rispettato da tutti. Una giornata storta, una serie di coincidenze: a soli ventidue anni perse la vita a Porto Marghera. Era l’11 maggio di 66 anni fa
11 maggio 2018

Il triangolo tra Modena, Ferrara e Bologna, quello che verrà poi definito la “motor valley italiana”, ha visto la crescita e le prime corse in moto di un ragazzo biondo che, sin da quando aveva i pantaloni corti, sembrava una cosa unica col mezzo meccanico per la sintonia e per la sbalorditiva destrezza nella guida.
Quel ragazzo è Libero Borsari: nell'officina meccanica paterna, tra auto e Moto Guzzi, impara ad amare i motori, a conoscerli, “sentirli”, e quando va in strada dimostra di possedere doti innate di sensibilità; lui sa sfruttare al massimo le possibilità del mezzo nel rispetto della meccanica e sa disegnare traiettorie che lo portano a sfiorare il limite senza mai superarlo.

A metà degli anni Quaranta nella sala da pranzo di casa Borsari una sola foto è bene in vista, quella di Omobono Tenni, straordinario pilota che aveva acceso l'immaginario collettivo ed era diventato il modello cui Libero si sarebbe ispirato nella sua attività sportiva adottandone pure il numero di gara: il numero 16. In quel periodo postbellico gli italiani sentivano il bisogno di miti positivi, di sogni. Avevano sete di emozioni, e questi giovani vestiti di pelle nera con casco e occhiali, che sfrecciavano con un rumore mai sentito per le strade della città tra i fumi dell'olio di ricino dal caratteristico odore, rappresentavano gli idoli di tutti.

Libero portato in trionfo sin davanti a casa dopo una gara a Finale Emilia. Nella foto in alto, Libero a Finale Emilia nel 1950 con la Moto Guzzi Condor 500
Libero portato in trionfo sin davanti a casa dopo una gara a Finale Emilia. Nella foto in alto, Libero a Finale Emilia nel 1950 con la Moto Guzzi Condor 500

 

Libero divenne in breve l'idolo di Finale Emilia. Praticamente tutti avevano in casa una sua foto, gli amici chiudevano le strade col beneplacito generale quando doveva allenarsi o provare la moto, i bambini accompagnati dai maestri uscivano da scuola per vederlo passare e qualche bimbo gli offriva mazzolini di margherite quando si fermava a salutarli.
In casa questa improvvisa fama catalizzò e fece ruotare la vita della famiglia attorno a lui; era modesto, ma divenne il centro dell'interesse e le corse furono il solo argomento in ogni momento della giornata.

Non fatico ad immaginare che le parole pronunciate più spesso fossero: Dondolino, Saturno, Guzzi, Gilera, Pagani, Valdinoci e… dintorni!
Gli amici passavano in officina durante la giornata o in casa alla sera, il postino recapitava le lettere anche più volte al giorno, e visto che allora le gare si susseguivano con una frequenza quasi settimanale, Libero ormai non stava più in officina ad aiutare il padre ma era completamente assorbito dalla preparazione della moto, dall’allenamento e dalla cura delle “pubbliche relazioni”.

La domenica poi, tutti alle gare: pullman di tifosi venivano organizzati per chi non poteva andare con i mezzi propri, e solo nostra madre rimaneva a casa, per l'impegno giornaliero con il sottoscritto, allora piccolissimo. Per un paio di anni per molti finalesi fu davvero una botta di vita, e il ricordo restò vivissimo per tanti anni. Tanto che ancora oggi, in paese, io sono innanzitutto il “fratello di Libero”!

Con il Guzzino 65 nel 1949
Con il Guzzino 65 nel 1949

 

Gli inizi lo videro giovinetto in calzoncini corti a fare le gimcane, gare al tempo molto in voga e ideate per provare la destrezza sulle due ruote; poi passò alle prime gare con un Guzzino 65 preparato in officina, con cui riporterà discreti risultati in qualche gara.
Il passo successivo fu la guida di una MV 125 due tempi tre marce, la “Faenza” assai diffusa nelle gare nazionali ma piuttosto sottodimensionata per chi non avesse un fisico minuto. Libero riuscì comunque a ben figurare nei circuiti cittadini cui prese parte, e la sua più bella vittoria ebbe per teatro il circuito di casa a Finale Emilia.

Finale Emilia 1950, con la MV 125 a due tempi
Finale Emilia 1950, con la MV 125 a due tempi

 

Come molti, anche il concessionario Guzzi di Modena vide in Libero grandi qualità e lo aiutò, affidandogli una Guzzi 500 Condor (nella foto in alto), un mezzo che sembrava fatto su misura per lui. Con questa moto mise in mostra nella classe maggiore le sue doti di coraggio, freddezza e sensibilità nella guida; in terza categoria chiuse la stagione 1950 con tre vittorie e alcuni buoni piazzamenti che gli valsero il passaggio alla categoria superiore.

Affrontando il 1951 si impose la necessità di una moto all'altezza degli avversari di seconda categoria, e la scelta fu obbligata: con l'appartenenza affettiva al marchio dell’Aquila fu giocoforza optare per il Dondolino, anche perché era l'unico modello Guzzi a disposizione dei “privati”, purché in grado di scucire la notevole cifra, per quel tempo, di 850.000 lire!

Altra moto, altro campionato, altri avversari, ma il 1951 vide Libero ancora vincente e campione d'Italia di seconda categoria nella classe 500, dopo essersi aggiudicato le gare di Cattolica, Finale Emilia, Riccione e Modena.

Autodromo di Modena 1951, Libero e il suo Dondolino
Autodromo di Modena 1951, Libero e il suo Dondolino

 

Ormai il suo nome era conosciuto a livello nazionale, già circolavano voci dell'interessamento di altre marche, e pure in ambito Guzzi si pensava a lui per affidargli qualcosa di più competitivo. Mi hanno raccontato che un giorno, di ritorno da Mandello, Libero si fermò a Monza per vedere i primi test della nuova Guzzi quattro cilindri in linea. Indicandogliela gli dissero: «Borsari questa sarà la tua prossima moto». La cosa poi non si avverò, ma considerando quanto fu breve e incolore la storia di quella moto, penso che non fu una occasione da rimpiangere troppo.

Il 1952 iniziò con Libero, il suo casco tricolore e il Dondolino, al via in prima categoria a gareggiare con molte speranze di ben figurare contro i campioni del mondo, le Gilera quattro cilindri, le MV 4 “sorellastre” per progettista (Remor, ex-Gilera) e con il fenomenale Duke con la sua Norton Manx.
La prima gara a Faenza: nonostante una brutta partenza Libero riuscì a concludere la gara al quarto posto, primo dei monocilindrici e davanti a piloti come Francisci, Liberati e Colnago.

La gara successiva, a San Remo-Ospedaletti, fu per lui la più entusiasmante, al punto che le cronache scrissero “Vince Duke, ma Borsari sfiora la clamorosa affermazione”.
L’inglese era arrivato in nottata direttamente da Silverstone, dove il sabato aveva vinto la 350 e la 500; qui partì in ultima posizione per non aver partecipato alle prove, ma non ci mise molto a portarsi in testa; e quando sembrava la gara già sua, ecco che Libero, con la sua tattica usuale, da metà gara in poi cominciò ad abbassare i tempi sul giro fino a portarsi in coda all'inglese. Quando tutti ormai li aspettavano appaiati, un problema al cambio costrinse Libero ad un “dritto” e al mesto ritorno ai box.

Il pomeriggio di gara fu addolcito solo dall'aver stabilito il giro più veloce, e dal gesto di Duke che, subito dopo la premiazione e ancora coi fiori in mano, gli si avvicinò e gli propose di fare una foto assieme.
Da allora quella fu l'altra foto in sala da pranzo Borsari: con i due giovani sorridenti, uno già campione affermato e l'altro che cercava di diventarlo.

San Remo-Ospedaletti 1952, con Geoff Duke, a destra
San Remo-Ospedaletti 1952, con Geoff Duke, a destra

 

Dopo San Remo ecco Codogno, con Duke ancora vincente, Pagani secondo e Libero terzo; quindi Voghera, dove fece ancora una bella gara e solo un guasto gli negò la vittoria che andò a Liberati.

Poi purtroppo arrivò quell'11 Maggio 1952 al circuito di Mestre: una gara che, per chi crede nei segni del destino, Libero non avrebbe mai dovuto fare. Ricordo che gli fu suggerito di non parteciparvi: non era valida ai fini del campionato, poi la grande difficoltà nell'approntare in tempo la moto per quella corsa e ancora i documenti di spedizione della moto smarriti, che non ne consentivano il ritiro… e alla fine anche l'impossibilità di partecipare alle prove della sua classe per il ritardato arrivo in circuito.
Ma Libero si presentò ugualmente al via, gli fu consentito di provare con le 125, poi la perfida casualità di una caduta che poteva essere innocua ma che gli fu fatale. La luce della meteora si spense. Il tempo ha la facoltà di far emergere i ricordi positivi e mi piace ricordarne uno da cui traspare la sua indole, la correttezza e anche il rispetto della sua moto.

Nella gara di Cattolica ebbe un problema alla candela e si fermò lungo il tracciato; sceso dalla moto, si guardò attorno per cercare un posto adatto dove appoggiarla senza graffiarla o danneggiarla. Allora un commissario, vedendo la scena e gli altri piloti in arrivo, si fece rapidamente avanti e si offrì di reggere la moto. Libero cambiò la candela, mise via la chiave e mentre d'impeto stava per ripartire si ricordò di chi l'aveva aiutato, e incurante della perdita di tempo si fermò, sfilò il guanto, strinse la mano al commissario sbalordito per il formalismo, infilò di nuovo il guanto e ripartì. Vinse ugualmente la gara, e questo gesto è rimasto tra i ricordi tramandati a testimonianza di una persona speciale e di un periodo unico, con una umanità difficilmente rintracciabile oggi. Un'epoca forse di “cavalieri ed eroi”!

Augusto Borsari


L'autore
Augusto Borsari è un ex giramondo per lavoro e un grande appassionato della storia della moto, soprattutto quella dagli anni Quaranta ai Settanta. Una febbre che lo ha preso fin da piccolo: il padre era concessionario Moto Guzzi a Finale Emilia, provincia di Modena.
La pagina facebook di Augusto è un pozzo di storie, ricordi e considerazioni sul mondo delle corse.