Nico Cereghini: “Farnè, Taglioni e gli altri geni”

Nico Cereghini: “Farnè, Taglioni e gli altri geni”
Nico Cereghini
  • di Nico Cereghini
Con la scomparsa di Franco se ne va un’epoca e anche un pezzo del DNA Ducati. Farnè e l’ingegner Taglioni facevano le corse a dispetto della dirigenza statale, tenendo viva la scintilla della passione
  • Nico Cereghini
  • di Nico Cereghini
10 marzo 2015

Ciao a tutti! Con Franco Farnè, scomparso la settimana scorsa e ben ricordato da Maurizio Tanca, se n’è andato un pezzo della storia della moto. Franco ha dedicato gran parte dei suo ottant’anni di vita alla Ducati, dalla metà degli anni Cinquanta ha trafficato intorno a quei motori, e si può ben dire che sia stato il custode della spirale fondamentale del DNA Ducati. Senza di lui, e senza la fantasia dell’ingegner Fabio Taglioni, non ci sarebbe quella speciale predisposizione della Ducati alle corse, negli anni bui della gestione statale sarebbe andata perduta la passione, e oggi probabilmente non sentiremmo rombare le SBK e ruggire le MotoGP. Esagero? Neanche un po’.


Piccoletto, instancabile, Franco aveva una bella erre arrotata con la quale ridendo mi prendeva in giro. “Cereghini, dove credi di andare con la Laverda?”. Alla 1.000 Km del Mugello del ’75 la sua 900 vinceva con Ferrari-Grau, io facevo il terzo con Brettoni e la 1.000 di Breganze, i piloti Ducati non prendevano una lira di ingaggio, soltanto i premi. Fu Farnè a inventare il sistema di sgancio rapido delle ruote nelle 24 Ore, ai box erano i più veloci, la Ducati vinceva spesso sul tortuoso Montjuich di Barcellona ma esplodeva a Le Mans perché alla potenza, loro, non sapevano rinunciare. Anche allora il credo era: “quello che conta è correre: prima vengono i cavalli, poi la leggerezza e dopo tutto il resto”.

Quello che conta è correre: prima vengono i cavalli, poi la leggerezza e dopo tutto il resto


E mi viene da fare una considerazione. Ho sentito dire tante volte che il genio di tanti progettisti e tecnici italiani avrebbe frenato lo sviluppo del nostro modello industriale perché costoro, dopo una serie di idee vincenti, a un certo punto perdono la loro creatività e dedicano le loro energie a mantenere la propria posizione. Il modello vincente sarebbe invece quello giapponese: al centro il gruppo e non il singolo, la squadra invece delle individualità, in un lavoro di team che permette a diverse culture professionali e aziendali di incontrarsi, così che ognuno mette le proprie conoscenze al servizio dell’azienda. Laggiù il buon capo motiva i suoi collaboratori, e li prepara perché domani prendano il suo posto.
 

E tutto ciò sarà anche vero, ma penso che qui in Italia difficilmente avremmo potuto o potremmo adeguarci: noi siamo pieni di difetti, siamo gelosi delle nostre conoscenze e delle nostre priorità, siamo egoisti, spesso anche polemici e litigiosi. In compenso, da noi sono di casa la genialità e l’estro, cioè le qualità su cui abbiamo storicamente puntato. E magari, con un’altra mentalità oggi avremmo potuto essere al posto dei tedeschi, ma allora non saremmo noi stessi e soprattutto non avremmo mai avuto personaggi fantastici come Fabio Taglioni e il suo “socio” Franco Farnè.

audio 273