In viaggio nei Pirenei - il ritorno Ep.2

In viaggio nei Pirenei - il ritorno Ep.2
  • di Gigi Radice
Gigi Radice e i suoi amici tornano a casa dopo il viaggio nei Pirenei: dal cuore della Francia verso Puy en Velay e, finalmente, Milano
  • di Gigi Radice
4 settembre 2021

Dopo l’abbondante colazione dei campioni a base di yogurt, frutta e tè rigorosamente verde, Attilio, il più veloce nell’approntarsi al viaggio, mette fuori il capino dalla porta e come un commissario di gara della MotoGp dichiara: <Wet race, wet race!>. Piove e sarà gara, meglio giornata, bagnata. Quindi si parte bardati da pioggia, sperando di togliersi l’impermeabile palandrana nera a inserti fluo il prima possibile. Nel frattempo prudenza, soprattutto nel vialetto infangato che si affaccia sulla statale verso Puy.

Da quando siamo partiti è la prima volta che viaggiamo sotto l’acqua: una bella scocciatura. Si vede meno, si scivola di più e l’attenzione a tutto quel che ci sta attorno, Tom Tom appannato e sgocciolante compreso, non basta mai. Ci addentriamo nel cuore magico dell’Alvernia sotto un’acqua intermittente. Purtroppo il cielo alterna schiarite e minacce e tutta questa magia si trasforma nel caleidoscopio di colori rossi e gialli che si disegna sulle nostre visiere. Attorno a noi si allarga il cuore della Francia, lungo una strada dolcissima che sale con sinuose curve tra le colline. La pioggia sembra dare una tregua, ma scaramanticamente evitiamo di toglierci le tute impermeabili. Diamo anche un po’ più di confidenza alla manetta del gas, ma i limiti di velocità in terra di Francia non ammettono deroghe: 50 all’ora all’ingresso dell’abitato e addirittura 30 nel centro. Meglio non sgarrare ci hanno detto in molti, compreso il marito di Christine: la Gendarmerie all’interno dei centri abitati è inflessibile. E probabilmente è giusto così, anzi, senza il probabilmente. Noi comunque non facciamo troppa fatica. La strada è ancora bagnata ed è meglio una guida senza strappi e con qualche sosta in più. L’ultima è anche l’occasione per decidere dove fermarsi a mangiare. Il villaggio di St Flour sembra fare al caso nostro. Mancano infatti pochi chilometri e dovremmo arrivare per l’ora di pranzo: aggiudicato.

Neanche il tempo di togliersi il casco che l’urlo <Campioni!> saluta il nostro arrivo in paese: è quello di tre bikers transalpini che hanno riconosciuto le targhe italiane delle nostre moto e vogliono omaggiarci ricordano la recente vittoria della nostra nazionale di calcio agli Europei. Gente di sport, non solo di moto. Quattro chiacchiere con loro in un idioma fatto di poche parole e ampi gesti per capire che proseguendo verso Puy il tempo si mette al bello. Sulla base delle loro indicazioni, anche gastronomiche, scegliamo il bistrot per rifocillarci, assaggiamo l’Aligot, il purè fatto con un formaggio locale, e ne approfittiamo per toglierci e far asciugare le tute da pioggia. L’approvazione dei nostri nuovi amici ci è di conforto per gli ultimi 100 chilometri che ci separano da Puy en Velay, dove scopriamo di avere scelto la più improbabile delle sistemazioni per la notte.

Una vergogna che Booking la tenga ancora in catalogo. Seppure in centralissima posizione, l’ingresso di Une Coquille sur l’Oreiller sembra l’entrata di un centro culturale di una casa occupata. La porticina si apre su un corridoio che non supera in larghezza il metro e conduce a una scala in legno da film horror. Si sale fino al 5° piano di un sottotetto dove si trova anche la stanza con uso cucina, peraltro impossibile, che ci è stata riservata per la notte. Il bagno, inteso come tazza, è in mezzo alla stanza con il letto matrimoniale, incastrato tra un appendiabiti per sfilate e un lavandino per Barbie. Il terzo letto, quello occupato normalmente dal sottoscritto che viene isolato perché russa come un mantice, si ricava dal divano del soggiorno cucina con soffitto a spiovente foriero di sicure zuccate notturne. Siamo oltre i bastioni di Orione e le porte di Tannhauser: parafrasando Roy Batty (Rutger Hauer) abbiamo visto cose che voi umani non potreste immaginare. Alla reception la gentilissima ragazza che assegna le camere adduce problemi di overbooking, la connessione debole, Booking che non risponde, un malware dispettoso, un bug nella Rete e altro ancora. Manca solo l’invasione delle cavallette e il repertorio di scuse è completo. Noi consumati, anche dall’anagrafe, viaggiatori facciamo buon viso a cattiva sorte. Ci accomodiamo nell’improbabile stanza e ci separiamo per andare alla scoperta di Puy en Velay.

Attilio, che ha deciso di arricchire il suo già notevole bagaglio storico artistico, si dedica alla visita della cattedrale di cui ha letto su qualche guida acquistata assieme alla sua cartina obsoleta. Ma contrariamente a quanto accade per le indicazioni stradali, con l’arte sacra di Puy en Velay, la cattedrale, la cappella romanica di Saint-Michel d'Aiguilhe sul pinnacolo di roccia e la statua di Notre Dame de France che domina la città dall’alto dell’altro pinnacolo, le guide di Attilio non mostrano il segno del tempo: sono tutte opere che risalgono a qualche secolo fa e sono citate anche sul suo Baedecker. Io e Gianni per riprenderci dallo choc del cesso in camera ci accomodiamo ai tavoli di un bar davanti a due kyr royal e a un passeggio serale premovida.

Puy è una delle tappe del cammino verso Santiago de Compostela, tuttora meta di pellegrinaggio. La conferma ci arriva anche da Attilio che ci ragguaglia sul patrimonio culturale della città. Lo interrompiamo e gli facciamo notare che Puy è la Castelluccio di Norcia francese: le sue lenticchie verdi sono conosciute in tutto il mondo: forse è il caso di attovagliarsi e cibare anche il corpo, non solo la mente. Anche l’erudito che è in lui ne conviene e ci accomodiamo in un piccolo bistrot del centro. Non gustiamo le lenticchie per cui Puy è famosa (fa troppo caldo), ma ne usciamo soddisfatti e sicuri di poter affrontare la notte senza problemi.

Adda passà ‘a nuttata. Qualche zuccata nel soffitto non ha compromesso il sonno del sottoscritto. Che quando si è presentato al tavolo della colazione non ha mostrato né segni di inappetenza né timori reverenziali nel chiedere una riduzione della tariffa della camera prontamente riconosciuta dalla sempre molto gentile signora alla reception. Il sole di questa mattina a Puy non farà scherzi e ci accompagnerà per tutti i 300 chilometri che ci separano da Modane e dalle Alpi. La D15 è strada per motociclisti. Come quasi tutte le statali e dipartimentali che abbiamo trovato fino a oggi. Purtroppo in questa tappa dovremo ricorrere all’autostrada per evitare di arrivare troppo tardi sulle Alpi.

Ci godiamo questo tratto di statale fino a Valence. La dribbliamo fermandoci in un centro commerciale della periferia: nel parcheggio controlliamo livello dell’olio, stato di lubrificazione della catena, facciamo il pieno di benzina e, già che ci siamo, ci concediamo una robusta insalata nella confortevole aria condizionata del bistrot. Un’occhiata a Google Maps per fissare alcuni punti sul Tom Tom e siamo pronti per affrontare il traffico di questa autostrada che sale fino a Modane e al traforo del Frejus. Non è ancora chiaro se faremo il tunnel oppure saliremo, come vorrebbe Attilio. Molto dipenderà, almeno per me e credo anche per Gianni, dal meteo di domani.

La stanchezza di queste tre tappe forzate di rientro in Italia inizia a farsi sentire. E poco può anche la forza dell’amore ritrovato di Gianni: perché prendere acqua e freddo in montagna se hanno scavato una galleria di 13 chilometri per evitare questo tipo di inconvenienti. Catalano approverebbe, ma Attilio sembra irremovibile: vuole salire sul Moncenisio. Sospettiamo che qualcuno lo paghi in base al numero di curve e pieghe che fa, il dubbio è se valgano anche le rotatorie.

L’anonimo albergo di Modane ha il pregio di un comfort standard che rassicura. Esattamente come il roast beef al sangue che il ristorante a pochi passi dall’hotel ci serve con un pichet di rosso della casa. Modane conserva la struttura delle vecchie stazioni di frontiera anche in assenza di un confine vero e proprio: una ghost town che cerca di riabilitarsi come campo base per gli escursionisti che qui arrivano con il treno con i loro zaini e le loro picozze. Con le nostre moto ci sentiamo quasi degli intrusi. Anche perché la nostra testa e soprattutto il cuore di Gianni sono già in Italia. Domani è l’ultimo giorno di viaggio: l’unico dubbio da sciogliere è Moncenisio sì, Moncenisio no, poi è tutta autostrada fino a casa.

Sveglia di buon’ora e sole già alto. Davanti all’ultimo croissant francese svaniscono anche le nostre riserve sul percorso: la linea Attilio Moncenisio vince e convince. Niente tunnel. Carichiamo le moto, facciamo l’ultimo pieno e su per i 40 chilometri di curve che salgono al Moncenisio e alla frontiera con l’Italia, nonostante il Tom Tom provi a mandarci verso autostrada e traforo. Non se ne capisce il motivo (probabilmente avevo disinserito la modalità Evita pedaggi), ma in ogni caso prima che Attilio, che aveva già capito tutto, riesca a estrarre dalla sua borsa da serbatoio la giurassica mappa che custodisce come una reliquia, un cartello stradale con l’indicazione Mont-Cenis seguito dal codice D1006 ci suggerisce la dipartimentale che risale la valle fino al passo. 

Qualche nube di umidità fa capolino sulle montagne ma non spaventa nemmeno gli sciatori a rotelle che salgono sul passo, torso nudo e pantaloncini. Come con i ciclisti sul Tourmalet cerchiamo di non infastidirli sorpassandoli nel loro ammirevole sforzo. La strada è spettacolare, un piacere assecondare curve e tornanti in una danza che Attilio affronta come un novello Nureyev a due ruote. Il palcoscenico delle Alpi è la cornice della sua performance. L’anziana signora che ci accoglie al rifugio in cima al passo sembra uscita da una fiaba dei fratelli Grimm (che erano tedeschi, ma pazienza). Agghindata come la nonna di Cappuccetto Rosso, con tanto di scopa di saggina per ramazzare la veranda dove ci serve l’ultimo caffè, non nasconde la sua vanità davanti all’obiettivo del telefonino di chi transita dal suo rifugio. Noi vorremmo acquistare anche un adesivo che attesti il passaggio dalla nostra cima Coppi. Purtroppo ne è sprovvista, ma il rifugio qualche chilometro più avanti, dove un’affascinante ragazza bionda serve generi di conforto, non ci delude. Appagati dall’acquisto e anche dalla dolce visione, scendiamo verso il confine. Giaglione, in Italia, è il primo espresso e anche l’ultima sosta prima di separarci. Come ieri, il tratto finale di autostrada ci permette di raggiungere la meta di giornata. Per noi la torrida Milano di questa fine di luglio; per Gianni, il mare della Liguria e il sospirato abbraccio della sua Penelope.

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